Il Titano Prometeo, per aver rubato il fuoco agli dei e averlo recato agli uomini, fu fatto incatenare da Zues sulla cima del Caucaso e un'aquila, secondo quanto nella Teogonia racconta Esiodo, "gli rodeva il fegato immortale" che "gli cresceva durante la notte tanto, quanto durante il giorno intero ne divorava l'uccello".
Nel mito di Prometeo divorato per un tempo indeterminato dall'aquila, si manifesterebbe l'intuizione greca della connessione tra atto creativo e sofferenza. Prometeo ci appare un rappresentante del genere umano. E' la sua trasgressione che attiva l'invidia degli dei e l'invidia degli dei significa la sofferenza degli uomini. Certo, sembrerebbe consigliabile che gli uomini se ne stessero al di qua della trasgressione, ma se ciò accadesse essi non avrebbero il fuoco e sarebbero condannati all'oscurità dell'inconsapevolezza. Nella logica del mito, diversamente, solo costellando l'invidia divina si arriva al fuoco della creatività. Ciò significa che gli dei ci ascoltano là dove decidiamo di trasgredire. Del resto è proprio all'atto di trasgressione che va riferito il termine "Titani". Secondo quanto nella Teogonia racconta Esiodo, infatti, è Urano che li ha generati a chiamarli in questo modo perché "diceva che essi col tendere troppo avevano commesso un orribile fatto"...il tendere oltre misura suona appunto in greco titaìnein... L'uomo nasce a questa costellazione in cui al tendere troppo fa riscontro la sofferenza.
(Carotenuto)
...per uscire dall'oscurità bisogna tendere al di là: della nostra sofferenza, della nostra diversità e della nostra malattia.